Crollo presidenziale

Dieci mesi di malgoverno sono bastati ad Alejandro Giammattei per incitare al più ampio rifiuto dei cittadini, e per iniziare il suo collasso come presidente (con la minuscola). In questo momento, in cui il Popolo chiede #RenunciaGiammattei, nessun settore sociale, accademico, imprenditoriale, giornalistico o religioso è uscito per difenderlo. È prevedibile che il suo mandato presidenziale non verrà portato a termine, perché l’inerzia politica è il crollo di un patto di corrotti che, prima o poi, il popolo seppellirà.

In tutti i settori della popolazione c’è una crescente stanchezza, a causa della grande fame, di tanta povertà, della pandemia trascurata, dell’abbandono delle persone colpite dagli uragani ma, soprattutto, c’è la nausea di fronte a tanta corruzione e impunità.

In questo contesto, i manifestanti nelle piazze chiedono #RenunciasYa!, chiedendo le dimissioni di Giammattei, della sua compagna divenuta primo ministro, della Giunta direttiva del Congresso, del ministro dell’Interno e del direttore della Polizia Nazionale, gli ultimi due responsabili del giro di vite di sabato scorso.

Ma Giammattei non legge, percepisce o capisce il crescente rifiuto della sua penosa gestione governativa. Imbarazzati, con lo sguardo basso, alcuni funzionari che hanno ancora sprazzi di vergogna confessano che nel Gabinetto c’è una gara permanente di adulazione servile, di lusinghe interessate, mentre il presidente si crede, sentendosi il grande timoniere, lo statista che sconfiggerà coloro che lo interrogano e lo criticano.

In tale contesto, non è possibile alcun dialogo. Ecco perché, ieri, i principali gruppi di pensiero che Giammattei voleva coinvolgere in un presunto dibattito sul bilancio si sono sottratti, allontanandosi da un attore politico che, come un lebbroso, corrompe ciò che tocca.

Isolato e paranoico, chiede aiuto ad Almagro, l’impresentabile Segretario generale dell’OSA, rimasto senza legittimità politica dopo il suo vergognoso intervento nel Colpo di Stato in Bolivia. Un presidente nominato dal suo popolo come corrotto, incapace e repressivo invoca la Carta democratica interamericana per difendere un governo autodistruttivo. Il condannato si mette il cappio al collo e chiede aiuto.

Proprio ad aprile, secondo l’indagine Prodatos, l’83% della popolazione aveva approvato la gestione della pandemia da parte del presidente; ora tutti ne chiedono le dimissioni. Nessun governante ricevette così tanto sostegno al bilancio, da tutte le parti, per affrontare la pandemia.  Per i malati e gli affamati quasi nulla è venuto, e il poco distribuito è arrivato tardi. Medici e assistenti muoiono ogni giorno per mancanza di dispositivi di protezione e non dispongono di mezzi e di salari degni. Quasi ogni acquisto di materiale sanitario trasuda corruzione.

A quell’inferno si sono aggiunti 53 morti e 18 feriti, 96 dispersi, 10.137 persone a rischio e un milione e duecentomila colpiti da due uragani consecutivi. Non c’è stata prevenzione o risposta governativa sufficiente: #RenunciaYa, dice il Popolo.

Per continuare nella festa dei fondi pubblici, con dolo e nell’oscurità, il patto corruttivo approva un bilancio fastoso, che esaurisc la pazienza del Popolo, che va in piazza, rivendicando il proprio veto.

La risposta del governo è la repressione, la gente risponde e il governo retrocede, offrendosi di rivedere il bilancio, senza rendersi conto che è troppo tardi; il popolo sovrano chiede le dimissioni del governo. Il crollo di Giammattei è inevitabile; lo ha voluto e raggiungerà il suo obiettivo.

Di fronte alla debacle presidenziale, viene alla luce l’affermazione di Winston Churchill: “La politica è quasi eccitante come la guerra e non meno pericolosa. In guerra possiamo morire una volta; in politica, molte volte”.

Tutti i giorni La Hora 25 novembre 2020 Víctor Ferrigno F.

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