Senza Fidel, con Fidel

di Fabrizio Casari.

Sono passati sette anni dalla scomparsa fisica del Comandante in Capo della Rivoluzione cubana, Fidel Castro. Fidel è stato il più grande statista del 900 e ha reso Cuba il primo territorio libero delle Americhe. E’ nell’olimpo dei grandi rivoluzionari che hanno cambiato il corso della storia. Una storia che è stato capace di anticipare, di affrontare e di dominare. E’ stato maestro e guida per tutti coloro che, in ogni angolo della terra, abbiano provato a fare del mondo un luogo più giusto e degno di quello che avevano davanti a sé.

Dall’entrata a L’Avana il 1 gennaio del 1959, Fidel seppe solo vincere. Sconfisse Batista e gli Stati Uniti, che con l’aiuto della mafia italo-americana lo sostenevano. L’Avana divenne una città cubana, Miami invece fu condannata a divenire l’immondezzaio d’America, incubatrice degli avanzi di ogni tirannia, fogna contenente ogni terrore. Lì vi abitano controrivoluzionari ed ex presunti rivoluzionari, coloro che per denaro e per ambizione personale hanno tradito tutto e tutti, quelli verso cui Fidel era implacabile.

In Nicaragua come in Venezuela, come in Bolivia, le vittorie sono state guidate da leader e condottieri che in Fidel avevano il miglior amico e il miglior consigliere, colui che era capace di esaltare le qualità e correggere i difetti di ogni processo politico, che leggeva da lontano come se vi fosse immerso e, per quanto intimamente coinvolto, sapeva farsi indietro per vedere le cose dalla distanza. Era il padre di ogni anelito di libertà e il fratello di tutti coloro che combattevano per essa. Nulla di quello che suggeriva poteva essere sottovalutato: del resto, quello che non sapeva di rivoluzioni lo si poteva scrivere tutto sul retro di un francobollo.

Si può raccontare di lui e delle sue gesta, della sua grandezza e del suo carisma leggendo le sue parole e il suo agire, mai in contraddizione tra loro. Si può parlare di lui come l’icona più grande del Socialismo, l’artefice della rinascita di Cuba e della sua proiezione internazionale, che fece dell’isola la più grande riserva di forza morale e di solidarietà con ogni movimento rivoluzionario, in America Latina come in Africa. L’isola fu rifugio e conforto, palestra di idee e di principi, scuola del fare e del pensare. Non c’è vittoria rivoluzionaria o liberazione nazionale che si sia affermata senza il suo contributo politico, umano, anche militare quando è stato necessario.

Questi anni senza Fidel non sono riusciti a far prevalere l’abitudine alla sua assenza. Immaginare il mondo, pensare a come analizzarlo e provare a cambiarlo non è lo stesso con Fidel o senza Fidel. L’assenza di Fidel ci ha privato della sua straordinaria capacità di analisi e di interpretazione del fenomenico, della sua lucidità strategica, della sua grandezza politica. Avremmo tutti bisogno di ricostruire una teoria ed una prassi della trasformazione e sarebbe stata utile la sua lungimiranza, la sua capacità di prevedere i processi storici e la direzione politica che prendono. Ci avrebbe offerto una lettura dell’immanente con altre categorie ed altri paradigmi, senza subire il fascino di questa presunta modernità ideologica che è l’altra faccia della medaglia della resa. Oggi, che l’impero ha scoperto lo scorrere del tempo come una clessidra che ne indica la fine, oggi che il Sud sembra voler mescolare tutte le sue lingue per riuscire a parlare con una voce sola, la presenza di Fidel sarebbe stata fondamentale.

Fidel è il patrimonio storico e umano di Cuba e dei cubani, ma non solo. Lo si può trovare oggi in ogni strada, in ogni aula e in ogni ospedale del Nicaragua, dove se potesse oggi passeggiare potrebbe constatare come ciò che fu promesso è stato mantenuto. Lo si può rintracciare anche in ogni missione in Venezuela o negli altipiani della Bolivia o nella primera linea degli studenti cileni. Nelle strade distrutte di Gaza e nelle città del Donbass. Fidel è stato e continua ad essere l’esempio che ognuno di noi esibisce con orgoglio nel suo argomentare, protagonista della narrazione dei migliori ideali, delle più grandi vittorie, dei nostri sogni più belli.

Sette anni dopo le sue esequie, risuona come memoria e allo stesso tempo come presente e futuro la voce del Comandante Sandinista Daniel Ortega, che dalla Piazza della Rivoluzione dell’Avana, di fronte a un milione di cubani, domandava: “Dove sta Fidel?”

Non se n’è mai andato Comandante. Quelli come Fidel non se ne vanno un giorno proprio perché non arrivano un giorno. Ci sono da sempre e per sempre, a prescindere dal tempo e dalla biologia, dai nemici e dagli amici, dalla storia e dalla cronaca. Ci sono perché quell’insieme di uomini e popoli, di circostanze e condizioni che la storia si impegna a mischiare e che noi, per brevità, chiamiamo destino, si compie. E questo lo hanno capito tutti quelli che sanno come rivoluzionare il mondo sia l’unico modo per salvarlo.

Chi ha scelto di non abiurare agli ideali di giustizia ed uguaglianza, colui a cui brillano gli occhi di fronte agli umili che si fanno titolari di diritti, chi non ha titubato davanti alle ondate reazionarie, chi non ha avuto incertezze di fronte alle difficoltà e non ha tradito i propri compagni e il proprio popolo, non si è venduto al nemico nemmeno quando si è presentato indossando le vesti della ragionevolezza e della moderazione, chi preferisce ribellarsi a inginocchiarsi e non ha rinunciato ad innalzare la sua bandiera di combattimento, può sentirsi parte del suo lascito. Ha il diritto di dire “yo soy Fidel”.

Per questo Fidel è in ogni luogo dove ve ne sia bisogno, ovunque qualcuno lotta e si danna per identificarsi nel destino di tutti.

Fidel c’era, c’è e ci sarà: perché nella inutile attesa della giustizia divina, quella degli uomini prima o poi arriva. In ritardo magari, ma arriva. Ed ha le sue sembianze.

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