USA: limbo giuridico per gli adolescenti indocumentados
Grazie alla “legge santuario” il migrante honduregno Alex García che ha vissuto per tre anni e mezzo in una chiesa del Missouri è riuscito a tornare a casa e a sfuggire alla deportazione ma, nonostante l’annunciata riforma migratoria promessa dal nuovo presidente Usa Biden in campagna elettorale, la situazione di gran parte dei minori provenienti dal Centroamerica, di fatto prigionieri della United States Immigration and Customs Enforcement (Ice), resta preoccupante.
di David Lifodi.
A fine febbraio Alex García è tornato a casa. Il migrante honduregno, entrato illegalmente negli Stati uniti nel 2000, ha vissuto per tre anni e mezzo in una chiesa di Maplewood, nel Missouri, per evitare la deportazione, approfittando della cosiddetta “legge santuario” che impedisce alla polizia di arrestare coloro che si rifugiano in un luogo di culto.
Come riportato da Avvenire, «il presidente Joe Biden ha cancellato l’ordine esecutivo del predecessore Donald Trump, che prevedeva la deportazione di chiunque fosse entrato nel Paese senza permesso ufficiale: compreso chi, come García, avesse un permesso temporaneo, fosse incensurato e sposato a un cittadino Usa. La strategia di Biden mira a colpire solo chi compie crimini aggravati o rappresenta un rischio per la sicurezza nazionale».
García, arrivato negli Stati uniti in cerca di una vita migliore e in fuga dal clima di violenza e dall’insicurezza del Centroamerica, ha finalmente potuto riabbracciare la moglie Carly (figlia di migranti messicani) e i suoi 5 figli. Raggiunto da un ordine di deportazione, nel 2015 riuscì a ottenere una sospensione della misura da parte della United States Immigration and Customs Enforcement (Ice) che, nel 2017, lo costrinse a consegnarsi alle autorità e, di conseguenza, l’uomo scelse di rifugiarsi in chiesa.
Tuttavia, la battaglia di Alex García e dei migranti che arrivano negli Usa dal Centroamerica è ben lontana dall’essere conclusa. L’avvocata dell’uomo, Nicole Cortés, del Proyecto de Acción Comunitaria Migrante e Inmigrante, ha sottolineato che adesso García ha necessità di ottenere una protezione permanente, come del resto il caso della bambina salvadoregna di nove anni che da quasi due anni è detenuta dal governo degli Stati uniti insieme a sua madre.
La bambina, insieme ad altri quattro suoi coetanei di età tra i 3 e i 16 anni, continua ad essere prigioniera dell’Ice, nonostante la legge stabilisca che i bambini migranti debbano essere liberati in un termine massimo di 20 giorni in base all’Acuerdo Flores del 1997 e la riforma promessa da Biden che dovrebbe prevedere un percorso per attribuire la cittadinanza ad oltre dieci milioni di indocumentados.
Nel Centro Residencial Familiar del Sur de Texas, dove si trovano bambini e mamme, la situazione è molto difficile sia a causa della lingua che non conoscono sia per gli attacchi d’ansia di cui spesso sono vittime.
Almeno fino alla scorsa estate, sfruttando come scusa l’emergenza dovuta a prevenire la diffusione del Covid-19, gli Stati uniti hanno espulso oltre un migliaio di bambini e adolescenti che erano riusciti ad attraversare la frontiera.
Secondo gli avvocati che si occupano dei migranti, a mamme e bambini sarebbe negato il diritto di asilo perché non lo hanno chiesto in Messico, Guatemala o negli altri paesi che hanno attraversato prima di giungere negli Stati uniti. Inoltre, gran parte di loro, come la bimba salvadoregna di 9 anni e sua madre, hanno fatto ingresso negli Usa a seguito del cosiddetto “Acuerdo del tercer país seguro” tra Stati uniti e diversi paesi del Centroamerica e del Messico che di fatto, all’epoca della presidenza Trump, mirava a far passare la richiesta del diritto d’asilo da parte dei migranti come uno stratagemma per entrare e rimanere in territorio americano a prescindere. Questo accordo, per il momento, non è stato annullato da Biden.
Le famiglie che si trovano nel Centro Residencial Familiar del Sur de Texas hanno rischiato più volte di essere deportate e ciò è stato impedito solo a seguito di una durissima battaglia legale. Lo scorso novembre, oltre 60 associazioni impegnate nella difesa dei migranti avevano indirizzato una lettera al presidente uscente Trump e a quello entrante Biden chiedendo la liberazione dei minori nelle mani dell’Ice da oltre un anno e provenienti dai paesi del Triangulo Norte (Honduras, Guatemala, El Salvador), dove torture, l’uccisione dei familiari e i crimini delle pandillas rappresentano purtroppo la normalità.
La riforma migratoria di Biden, già promessa in campagna elettorale, prevede, tra le altre cose, che siano beneficiari del programma Acción Diferida para los Llegados en la Infancia i giovani indocumentados giunti negli Stati uniti quando erano bambini o adolescenti, provenienti in gran parte dal Messico o dal Centroamerica. Inoltre, la stessa riforma mira a ridurre i tempi di attesa del limbo giuridico in cui si trovano i migranti e aumentare il numero dei visti concessi per motivi di lavoro.
Come anticipato alcuni giorni fa da un articolo di Andrea Cegna pubblicato dal quotidiano il manifesto, da un lato le promesse di regolarizzazione di Biden fanno sperare i minori non accompagnati di poter riabbracciare i propri cari, ma “un’inchiesta della Reuters ha raccontato lo stato in cui si trovano circa 4.000 minori che han cercato di passare la frontiera con gli Usa per chiedere il ricongiungimento familiare si scopre che anche il Messico tiene sotto sorveglianza giovani migranti non accompagnati”.
Nel frattempo, i paesi centroamericani proseguono nel lavoro sporco per conto degli Stati uniti e resta negli occhi di tutti la violentissima repressione della polizia guatemalteca nei confronti della carovana dei migranti diretta verso gli Usa avvenuta lo scorso 21 gennaio, bloccata e dispersa dai gas lacrimogeni. Negli ultimi dodici anni, denuncia la Carovana delle madri, sono circa 120.000 i migranti scomparsi, e di cui non si sa più nulla, dopo essere entrati in Messico.