Verso la votazione alle Nazioni Unite contro il bloqueo
di Fabio Marcelli.
Un’intensa mobilitazione, animata in tutto il mondo dalle comunità cubane e dalle organizzazioni di solidarietà antiimperialista ha avuto luogo lo scorso fine settimana. A Roma oltre cento persone si sono ritrovate in piazza di Santa Prisca sull’Aventino al termine di due cortei di macchine in provenienza dai monumenti a José Martì situati a Villa Borghese e sul Laghetto dell’EUR.
E’ solo il momento iniziale di una campagna che deve servire per affermare, in tutto il mondo, le ragioni di Cuba, un Paese libero e sovrano alle prese da quasi sessant’anni con un assedio economico, cui a tratti si sono affiancati l’aggressione militare e l’attacco terroristico. Il tutto per la pervicace volontà delle varie amministrazioni statunitensi che si sono succedute nel corso degli anni e dei decenni, di bloccare lo sviluppo economico e affamare la popolazione dell’isola nell’illusione di poterla in tal modo istigare alla rivolta contro il suo governo legittimo, provocando all’economia cubano un danno enorme, quantificato dalle Nazioni Unite nell’ordine dei 117 miliardi di dollari.
Quest’anno il voto all’Assemblea generale, previsto per il 23 giugno, assume un significato e un rilievo particolari per varie ragioni.
In primo luogo, il subentro, non privo di difficoltà e momenti di suspence, di Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe costituire forse l’occasione per un’attenuazione del bloqueo e un primo timido tentativo di riallacciare il dialogo fra La Habana e Washington. Tuttavia le dichiarazioni del nuovo presidente non appaiono estremamente incoraggianti. Joe Biden, infatti, ha avuto recentemente modo di affermare che la questione dei rapporti con Cuba non rappresenta per la sua amministrazione “una priorità”. D’altro canto lo stesso Biden ha altresì affermato che taluni dei divieti introdotti da Trump verranno eliminati e che il dialogo tra i due Paesi verrà ripreso.
Tuttavia i fondamenti della posizione statunitense sembrano dettati dalla convinzione che ormai, dati i tempi che corrono, pare quasi demenziale, di detenere una sorta di monopolio della democrazia e dei diritti umani e comunque un sacro diritto di definire chi è democratico e rispetta i diritti umani e chi invece no.
Convinzione che non fa affatto i conti con vari episodi del recente passato che dimostrano come gli Stati Uniti non possano affatto ritenersi la patria né della democrazia né dei diritti umani. E ci riferiamo ovviamente alle uccisioni di centinaia di cittadini, specie afroamericani e ispanici, da parte delle forze dell’ordine, all’emergere di forze apertamente razziste come quelle che hanno tentato l’assalto al Campidoglio il 6 gennaio, al manifestarsi di una società sempre più oppressiva, diseguale e subordinata ai diktat delle grandi corporation.
Se per certi versi Biden sembra oggi tentare di opporsi a questa deriva, resta pressoché intatta l’anacronistica pretesa degli Stati Uniti di ergersi a modello internazionale in materia di democrazia e diritti umani. Una significativa discrasia tra aspetti interni e aspetti internazionali della politica statunitense che trova conferma anche su vari altri terreni dello scacchiere internazionale.
Ed è elemento, soprattutto per noi, molto inquietante che tale pretesa trovi in sostanza il consenso dei governi europei, tra i quali quello italiano di Draghi ambisce al ruolo di campione dell’atlantismo, di fronte a qualche perplessità manifestata talvolta da Macron o dalla Merkel.
In questo senso, il voto dell’Italia e degli altri Paesi dell’Unione europea alla risoluzione contro le misure unilaterali coercitive, categoria che senza dubbio include anche il bloqueo, oltre a varie altre restrizioni più o meno analoghe adottate nei confronti di vari Stati (Nicaragua, Venezuela, Iran, Siria ed altri), ha costituito un segnale chiaro di sottomissione agli Stati Uniti.
E’ tuttavia importante e positivo che, a seguito della discussione che si è avuta in Italia dopo questo voto e alle prese di posizione indignate di numerose persone, anche di vario orientamento politico ed ideale, che sottolineavano il contrasto tra tale voto e la generosità mostrata da Cuba nei confronti dell’Italia, il ministro degli affari esteri Di Maio abbia sentito il bisogno di ribadire la contrarietà dell’Italia al bloqueo. Non ci sono del motivi per dubitare che la prossima votazione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite vedrà la solita stragrande maggioranza di Stati, europei ed italiani compresi, pronunciarsi contro le misure che il governo di Washington si ostina a riproporre da quasi sessant’anni ai danni del popolo cubano.
Non bisogna tuttavia accontentarsi di una contrarietà di facciata e occorre invece spingere per ampliare e qualificare maggiormente la cooperazione con Cuba su tutti i terreni, per travolgere una volta per tutte l’intento arrogante e prepotente, proprio purtroppo oggi come ieri dell’amministrazione di Washington, di negare a un intero popolo il diritto di vivere in pace e in collegamento col resto del mondo, solo per punire la sua sacrosanta volontà di indipendenza e il suo rifiuto di sottostare ai diktat del neoliberismo.