Nicaragua, golpisti all’angolo

di Fabrizio Casari.

L’opposizione ai suoi ordini non cresce nei consensi e mette in scena spettacoli penosi, i suoi leader si rendono patetici e i piani di destabilizzazione si rivelano fallimentari, ma l’ostilità degli Stati Uniti verso il Nicaragua non finisce. Non ha l’impeto comunicativo e operativo che viene messo in campo contro il Venezuela e non si mostra con l’odio ideologico ed anacronistico che dedica a Cuba, ma apertamente e sotto traccia l’attività di destabilizzazione contro il Nicaragua non cessa. L’uscita di scena di John Bolton è stato certamente un segnale positivo per tutto il pianeta e, dunque, anche per il Nicaragua; ma la movimentazione di personale (che ha origini e destini diversi da caso a caso) non deve essere interpretata come un cambio nella linea politica dell’impero in decadenza.

Certo, le frizioni di Bolton con Trump sono state originate dal continuo fallimento della sua linea ultra belligerante con Corea del Nord, Venezuela, Iran, Siria, Nicaragua, Cuba, Bolivia e persino Turchia e India, che hanno esposto la Casa Bianca a figuracce continue. Minacce a vuoto, impegni non rispettati e ritirate precipitose hanno contraddistinto l’operato della Casa Bianca costretta a riparare i guai del baffuto nazistoide che svolgeva il ruolo di Consigliere per la sicurezza nazionale. Ma l’essere rimasti orfani di Bolton non significa esserlo della sua linea, semmai adeguarla in termini di presentabilità internazionale. La linea annessionista, sulla quale si è edificata la campagna di riconquista dell’America Latina è pienamente operativa ed ha tutt’ora, nel conglomerato della gusaneria di Miami e in alcuni dei settori più reazionari dell’establishment con sede a Washington, le riceventi e le trasmittenti delle pulsioni della destra latinoamericana.

Per i vampiri di Miami, l’agenda per il Nicaragua presenta un percorso obbligato. Il fallimento clamoroso delle opzioni politiche della destra nicaraguense, la reazione negativa di militari e polizia alle sollecitazioni golpiste, la ritrovata capacità di mobilitazione politica e in armi del popolo sandinista, hanno evidenziato l’impraticabilità di una forzatura militare verso Managua. Quindi la strategia “venezuelana” utilizzata nel 2018 viene considerata auspicabile ma concretamente non  più proponibile e si deve allora pensare ad un percorso diverso.
Il terreno scelto dal poker di nazi-evangelici che si riuniscono intorno a Trump (Pompeo, Abrams, Pence, Rubio) è quello della ricerca di una sorta di legittimità internazionale per l’aggressione al governo guidato dal Comandante Daniel Ortega. Questa si ritiene possa essere delegata agli OSA, che nelle aspirazioni statunitensi deve essere una organizzazione a scopo e tempo determinato che agisce in forma suppletiva al Dipartimento di Stato. L’Organizzazione, con sede, soldi e decisionalità politica a Washington, rischia effettivamente di proiettarsi verso il ruolo di “area America” del Dipartimento di Stato, ma i limiti politici e giurisdizionali che patisce e la presenza di voci fuori dal coro al suo interno ne rallentano il processo di cannibalizzazione da parte degli USA. Perché diversi Paesi, anche tra quelli che si muovono nella scia statunitense, intravvedono il tentativo di alterare in profondità il ruolo di cooperazione politica e commerciale tra i paesi del continente per trasformarla definitivamente in una coperta politico-diplomatica alla politica continentale degli Stati Uniti, che del resto associano i loro desideri di annessione imperiale a tutto ciò che si trova a Sud dei suoi confini.

Nel caso del Nicaragua l’ostacolo maggiore riguarda proprio la credibilità internazionale di una opposizione che appare sempre più come un aggregato di interessi inconfessabili gestito da personaggi ridicoli. Dunque la questione centrale è come preparare il terreno a possibili sanzioni ed embarghi così da poter colpire direttamente l’economia del Paese, tentando di complicare il quadro socioeconomico per ridurre così il consenso al governo sandinista. La copertura scelta per questa nefandezza sono gli OSA, appunto.

L’impossibilità di disporre dei voti sufficienti all’attivazione della Carta Democratica dell’organismo contro Managua ha fatto ritenere all’ambasciatore statunitense Trujillo, vero capo politico dei governi di destra rappresentati nell’OSA, che per riaprire lo scontro si poteva procedere con una “missione” in Nicaragua ad opera di una delegazione formata dai peggior esponenti dell’organizzazione. Lo scopo? Arrivare in Nicaragua e fingere neutralità per poi operare come cassa di risonanza internazionale per i golpisti ormai anemici.

Ma i conti fatti a Washington e Miami si sono rivelati sbagliati, perché il governo sandinista ha proibito l’ingresso in Nicaragua dell’allegra brigata reazionaria travestita da delegazione dell’OSA. Una decisione sacrosanta da parte di un Paese sovrano governato in nome e per conto degli interessi nazionali. Il governo sandinista ha ricordato come ogni missione internazionale non può che darsi su invito del Paese ospitante e con una agenda di lavoro condivisa tra anfitrione ed ospiti; nessuna di queste condizioni potevano applicarsi al caso di specie. Quella che si era preparata era una missione mai richiesta e mai approvata dal governo nicaraguense, che dunque ha deciso di non autorizzare, visto che la sovranità sul Nicaragua appartiene a Managua e non all’OSA. Oltre all’assenza della cornice politica e giuridica all’interno della quale l’OSA può disimpegnare le sue funzioni, la missione è stata giustamente letta come una ingerenza indebita ed illegittima di governi di destra del continente mascherata da organismo internazionale. Del resto la missione OSA non aveva altro scopo se non quello di prestare sostegno politico diretto e fornire un briciolo di credibilità internazionale ad una opposizione golpista che non ne ha, perché fondata sugli interessi del latifondo e sulla reiterazione di menzogne e, dunque, priva di idee, persone, immagine e decenza. L’idea di supplire con la pressione internazionale all’assenza di un progetto politico nazionale resta la strategia di una destra golpista che come linea politica ha solo la richiesta di sanzioni e come idea per il futuro del Paese ha solo quella di consegnarlo agli Stati Uniti, abitudine cinetica reiterata in due secoli.

Ad evidenziare ciò, il fallimento totale dell’annunciata mobilitazione della cosiddetta opposizione, prevista per lo scorso 26 settembre, che ha prodotto un paio di adunate con un numero mai superiore a 10-15 persone. Le sigle che avevano indetto le manifestazioni sono risultate maggiori che i partecipanti alle stesse. La polizia non è dovuta nemmeno intervenire, la pioggia è stata sufficiente a farli ripiegare e tornare nelle loro lussuose magioni.

Per preparare la “mobilitazione straordinaria”a Managua avevano fatto rientro i cosiddetti “esuli” Felix Maradiaga (proconsole designato degli USA per il Nicaragua) e Jaime Arellano. La loro presenza è stata completamente ignorata dalla popolazione, che si è limitata a insultarli quando ha avuto l’occasione di incrociarli. Sono arrivati e ripartiti nel giro di due giorni senza aver combinato nulla di serio ma soprattutto senza aver subito nessun controllo e nessun fermo da parte delle autorità governative. Insomma una nuova categoria dell’esule politico si è inaugurata in Nicaragua: nessuno li obbliga a fuggire, nessuno gli impedisce di rientrare, passano dogane e controlli e circolano liberamente dentro e fuori al Paese. Vivono imbottiti di dollari tra lussi e feste, riunioni e cocktail, maledicendo “la dittatura che li persegue” ma che però non li cerca e, se li trova, li ignora.

Siamo quindi di fronte ad un inedito nella storia delle dottrine a protezione dei rifugiati e dei perseguitati, perché in Nicaragua si dichiara esule e profugo ma poi gode di ogni diritto. Per questo, se l’ONU non dovesse rivedere i criteri con i quali si riconosce la figura dell’esule politico e se anche la Corte Internazionale per i Diritti dell’Uomo non dovesse aggiornare la giurisprudenza internazionale, i cosiddetti esuli nicaraguensi retrocederebbero immediatamente alla categoria di turisti ad alta liquidità, furbetti esattori di rendite politiche pagate dai contribuenti statunitensi.

Nel frattempo i numerosi autonominatisi leader dell’opposizione si scambiano colpi proibiti sotto la cintura. L’ex paladino dei diritti umani, Alvaro Leiva, (quello che dirigeva l’ANPDH e che si vede ricevere una mazzetta nel video della fuga dei vescovi da Jinotepe), che inventava migliaia di morti e scomparsi, di prigionieri politici ed esuli, ha incassato fondi pubblici statunitensi per 500.000 dollari che si è messo nelle sue privatissime tasche. I suoi soci hanno chiesto la rendicontazione di quel denaro e lui si rifiuta di fornirla. Intanto è fuggito in Costa Rica da dove, of course, si dichiara “esule”. Ciudadanos por la libertad chiede di ottenere la legittimazione giuridica a presentarsi come partito senza però esserlo e senza voler obbedire ai criteri previsti dalla legge ai richiedenti personalità giuridica. La corsa, al momento, è alla presentazione di quanti più simboli e aggregati per cercare un proprio spazio in quello che immaginano sarà la mediazione elettorale tra governo e OSA così come accordata anni fa tra Ortega e Almagro.

Il negoziato tra governo e OSA si aprirà. Vi saranno modifiche a regolamenti e condizioni, verranno affrontati con spirito innovatore le criticità del processo elettorale ove si riscontrassero, ma questo non trasformerà la realtà in fantasia. Il vino non diverrà acqua e l’assenza di consenso non produrrà voti. Alla fine, riforma o no, chi ha i voti vince, chi non ne ha abbastanza perde. E’ nella speranza di lucrare qualcosa dal negoziato tra OSA e Nicaragua che ogni giorno nasce qualche sigla nuova, scissione di micro-sigle già esistenti o frazioni delle scissioni dei partitini nati da altre scissioni. Un autentico zoo. E’ cannibalismo politico allo scopo di appropriarsi della fetta più consistente della torta dei finanziamenti internazionali. Si fondano per questo sigle inesistenti, a basso tasso di decenza e ad alto livello di appetito: perché l’opposizione in Nicaragua è prima di tutto un business redditizio. Almeno fino a quando i contribuenti statunitensi non chiederanno conto al loro governo del denaro elargito per finanziare i sogni revanscisti di collaborazionisti dell’impero che si addormentano con sogni di gloria e si risvegliano con conti da pagare.

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